Partire tornare ... ripartire ritornare ... in un continuo inarrestabile viaggiare

28 settembre 2007

MANGIARE ALLA RUSSA

Popolo che ama mangiare, se mai ce ne fosse uno a cui siffatto piacere della vita non gratifica. La cucina è, in un certo senso, espressione della sua storia, poche le varianti regionali in una terra che da sempre segue le direttive della capitale.
Pasto principale è la cena. Sulla tavola non manca mai burro, pane bianco e nero e la vodka, che prepara lo stomaco al pasto, scalda i gelidi inverni russi e, sebbene sia difficile che lo ammettano, ubriaca! Gli antipasti sono varianti di insalate con maionese, pesci affumicati, patate, uova sode, caviale se va di lusso. Tra gli ortaggi si trovano sempre cetrioli, crudi o in salamoia, pomodori e carote mescolati nella “smentana”, una panna acida e liquida che detta così, sembra poco appetibile, ma che si mangia senza disgusto alcuno. I primi piatti per antonomasia sono le zuppe. Mutatis mutandis, l’italico spaghetto sta alla zuppa come il Cupolone sta a San Basilio. Nota in tutto il mondo, ma solo dopo che hai calpestato l’altrui suolo e ti è stata servita al tavolo, è quella chiamata borsch, che si prepara aggiungendo al brodo di manzo, pezzi di carne, soffritto di barbabietole, carote, cipolle e la smentana, di cui si è narrato poche riga più sù.
Ottimi e famosi i gelati, pare che a Mosca ce ne siano 500 gusti diversi ma, per inciso e per dare a Cesare ciò che è di Cesare e al gelataio ciò che è del gelataio, il gelato più buono di San Pietroburgo è italiano.
I bambini no, quelli pare proprio non siano una portata. In giro se ne vedono tanti e, visto che sono tutti belli paffuti, senza ombra di dubbio si può concludere che i comunisti non mangiano i bambini, essendo vero il contrario: sono i bambini a mangiare i comunisti!

22 settembre 2007

ARIFIORI D'ARANCIO


Auguri fratellino!

19 settembre 2007

CUORE DI MADRE RUSSIA

È sommessa la Mosca che mi ha conquistato, è capace di raccontare la storia attraverso la vita quotidiana, di scolpire il socialismo reale sui volti per strada, di descrive gli affanni e le gioie della gente comune, di far scorrere i drammi lungo la Moscova. È discontinua. La sua non linearità la rende vera, viva. Viva lo è sempre stata, anche se in modo diverso in ogni epoca, ma si impara da subito che il suo cuore ha pulsato senza sosta. I moscoviti con orgoglio narrano di una città a cui il destino ha riservato il ruolo di capro espiatorio della Russia. A lei è toccato il sacrificio. Incursioni nemiche, devastazioni, incendi, Mosca ha sopportato tutto grazie alla sua irremovibile fermezza, alla sua infinita forza, alla capacità di rinascere sulla terra bruciata.
Racchiusa nei suoi anelli, stretta nei voleri di chi l’ha dominata. Le circonvallazioni ne delimitano il cammino. I quartieri nuovi della città, quelli databili a partire dalla Rivoluzione del 1917, sono interminabili file di case dormitorio che non si differenziano in nulla l’una dall’altra. E poi c’è la Mosca delle cupole d’oro e delle torri del Cremlino, dei colori di San Basilio, del rosso dei mattoni. C’è la città degli angoli cancellati, considerati materia di scarto di cui sbarazzarsi e annientati dal peso del regime. Gli interventi urbanistici del periodo sovietico hanno distrutto monumenti che oggi si è cercato di ricostruire, hanno ribattezzato vie, tornate poi a nomi originali, quasi a voler far camminare indietro la storia. Ma indietro non si torna, lo sa bene ciascuno di noi. Indietro si può tornare solo fermandosi, un attimo, a guardare.

13 settembre 2007

YA NYE GAVARYU PARUSKI

È un viaggio in Europa. Il fuso orario avanti di due ore sembra inesistente, salvo accorgertene l’indomani, quando le otto del mattino avranno il sapore dell’alba, e quando non avrai più dubbi sul fatto che Mosca non è in Europa e che dovrai e vorrai cercare la sua anima russa.
Quando scendo da un aereo il primo respiro ha un significato tutto particolare. Io non respiro, annuso la terra che sto calpestando. Gli odori delle città spesso si somigliano, ma le loro somiglianze non hanno nessi geografici. Mosca odora come Il Cairo, e questo credo valga solo per me, per la memoria del mio olfatto. Così sono sicura di avere una sensazione che mi appartiene totalmente e che non mi importa di condividere con altri.
Il transito in aeroporto è rallentato dal controllo del visto d’ingresso. Le scritte intorno sono in cirillico, ho preso tra le mani un giornale moscovita ed ho cominciato, aiutandomi con il greco antico, a sillabare. Le scritte sono davvero tutte in cirillico, lo saranno quasi ovunque, in metropolitana, nelle stazioni, nei musei, nelle indicazioni storiche dei monumenti, nella traslitterazione del tuo nome e cognome.
Io non parlo russo. Ecco, è importante però che io lo sappia dire in russo. Me lo perdoneranno, del resto loro hanno le playlist delle radio da farsi perdonare.

04 settembre 2007

INTRIGHI INTERNAZIONALI


Aveva un’aria rassicurante, un viso simpatico, un nome amico: Romano, Roma per gli amici. La sua copertura era un impiego presso un negozio di attrezzature fotografiche nel centro di San Pietroburgo, lo Yarky Mir al civico 1 della via Nekrasova.
Con gli stranieri, al fine di rassicurarli, aveva sempre un atteggiamento cordiale, di estrema disponibilità. Appena gli veniva chiesto se parlasse inglese, gli avevano insegnato a comportarsi in un determinato modo. Scuoteva energicamente la testa ed, immediatamente dopo, sollevava le spalle allargando le braccia in modo da mostrare entrambi i palmi delle mani, quasi a voler dire: mi dispiace ma fidati di me, ti aiuterò. Le sue buffe espressioni erano l’ultimo trucco meschino su cui il KGB lo aveva indottrinato.
Lei aveva varcato la porta del nogozio non sapendo di essere in trappola. L’avevano seguita fin dal primo giorno, da quando nel mezzo della Piazza Rossa aveva interpretato il suo ossimoro fotografico, il saluto romano nella roccaforte comunista, versione diurna e versione notturna. Questo non potevano perdonarglielo. E poi c’erano gli scatti fatti ai militari in giro per la città, in servizio ai posti di blocchi, le istantanee dei controlli della polizia. In Metropolitana si era lasciata fotografare tra la gente di Mosca. L’ordine era chiaro. Quelle foto non avrebbero mai dovuto varcare il confine ed essere postate su Flickr.
Il piano era stato organizzato nei minimi dettagli. Il liquido corrosivo, dall'aspetto di acqua minerale naturale, era stato collocato nella stanza 4034 dell’Hotel Mosca di San Pietroburgo. Lei aveva infilato la bottiglietta in borsa, come ogni mattina ed il liquido, mosso dalla sua andatura, facendo pressione sul tappo, si era riversato all’interno, iniziando la sua azione distruttiva. L’obiettivo della digitale era completamente annebbiato, ma le foto ancora presenti nella memory card. Il KGB aveva fatto in modo da condurla nel loro punto vendita, dove l’agente Roma la stava aspettando. Poche mosse. Il tentativo simulato di ripristinare l’apparecchio ormai impazzito, apparentemente refrattario alla pressione su qualsiasi tasto. Nella realtà i contatti interni, mossi dalle abili mani del personale del KGB, stavano cancellando le foto più significative di Mosca. Lei era ignara, felice di aver concluso una trattativa di acquisto di una nuova digitale e di aver aumentato i suoi pixel. L’indomani la scoperta. Per impedirle di tornare a Mosca, alcuni italiani, spie sovietiche, l'avevano sottoposta alla tortura del solletico, le avevano fatto indossare abiti rossi ed entrare in testa il comunismo. Ma qualcosa era miracolosamente salvo e San Pietroburgo l'aspettava.