Partire tornare ... ripartire ritornare ... in un continuo inarrestabile viaggiare

27 gennaio 2007

IL GHETTO DI ROMA

Il ghetto vero e proprio fu demolito nel 1888. Nonostante non ci siano più mura in pietra, a far da recinto a questa parte della città, si ha comunque la sensazione, nel penetrarla, del superamento di una linea di confine, idealmente tracciata ma esistente. È questo un luogo capace di raccontare, come se l’architettura delle costruzioni fosse in funzione della storia degli ebrei: le case serrate l’una all’altra, che si sviluppano in edifici in grado di contenere un gran numero di individui, stretti tra loro, quasi un preludio dei campi di sterminio; abitazioni che hanno inglobato antichi resti romani al Portico d’Ottavia, quasi a volerli nascondere, così come dovettero nascondersi loro, popolo perseguitato. Entrare nel ghetto di Roma è un’esperienza particolare, e non solo perché la vicenda di un popolo sembra essere scritta nell’architettura di case e strade, per le transenne e i piantonamenti a protezione della Sinagoga, che ti dicono che la questione mediorientale è tutta lì, irrisolta, con la cronaca dalla striscia di Gaza, con i kamikaze che si lasciano esplodere a Gerusalemme. Il ghetto ha un potere singolare, la sua atmosfera è in grado di restituire sentimenti estremi. Da una parte la tristezza per l’accaduto e dall’altra una tranquillità tua, tutta personale, forse dovuta alla scarsa presenza dei rumori fastidiosi di una città. Si avverte una sensazione positiva, di beata solitudine, anche se la gente ti passa accanto. Si può essere invisibili per gli altri, o per lo meno avvertirne l’impressione, come quando ti ritrovi a baciare qualcuno per strada, stretta tra le sue braccia, pensando di essere al riparo tra quattro mura e non, come è in realtà, in balia degli sguardi degli altri. È quella sensazione di annullamento del resto, è un luogo di pausa il ghetto di Roma, è un luogo che ti mette al centro del mondo, tu e la tua felicità.
La via d’uscita è rivolta verso il Tevere, lo sfondo fisso alle spalle, e quella percezione di serenità ultima che ti fa ben sperare per la pace.

Giornata della Memoria

22 gennaio 2007

POKER D'ASSI

Tra i contadini di queste zone può capitare di sentire l'espressione “gallina feta fora”, detto di volatile che va a depositare le uova fuori dal suo pollaio. Il tutto per comunicare che ho scritto il quarto pezzo per Rosalio. In realtà , sempre per rimanere in tema aviario, ho allungato il brodo, rivisitando pensieri già apparsi, in epoche non sospette, su questo blog.

Aggiornamento. Il post in questione ha avuto doppia pubblicazione ed è finito su un sito per esperti!

19 gennaio 2007

DANNATA INDIFFERENZA

Se in questo momento, mi fosse chiesto di scegliere un continente dove fuggire, dire l’Africa. L’Africa non araba, quella che ho solo intravisto nel sud del Marocco, alle porte del Sahara, con i piedi nudi nella sabbia del deserto, circondata da dune e da un silenzio irreale e magico, interrotto all’improvviso dal vociare festoso di bambini, accorsi perché incuriositi dall’uomo bianco, che poi, tra me abbronzata e i berberi, i bianchi erano loro. L’Africa, forse perché alcuni incontri sono incontri di odori e un viaggio in Africa è odore prima di ogni cosa, perché diverso da quello a cui siamo abituati, perché capace di scuoterti. L’Africa, perché ne sono attratta e perché mi somiglia spesso ma non mi descrive, con il suo scorrere del tempo, con le albe che sembrano essere sempre uguali, con i giorni che passano senza cambiamenti, per l’Africa povera che cammina ai bordi del mondo.
Vorrei andare in Rwanda, paese raccontato come terra stupenda da un punto di vista naturalistico, e chiedere scusa.
Non si ricorda quasi più il genocidio del 1994, in cui furono sterminate, per le rivalità tra Tutsi ed Hutu, circa un milione di persone. Non lo ricordavo neanche io, perché non se ne parla più o, forse, perché è talmente grande la vergogna che si prova da occidentali, da non volerne parlare. Fu il colonialismo europeo a iniziare a dividere le persone, con l’introduzione della carta d’identità etnica, ed a favorire i Tutsi affidandogli il potere. Nella realtà le due etnie non hanno nulla di diverso, appartengono allo stesso ceppo, parlano la stessa lingua, ma la storia spesso deforma le cose ed alimenta l’odio, quello di vendetta degli Hutu. “Ammazzate gli scarafaggi Tutsi” è stato il comando lanciato via radio. Per 100 lunghissimi giorni, seguendo un piano ben preciso, furono trucidati uomini donne e bambini usando machete e bastoni chiodati. È bastata la lucida pazzia di pochi, per scatenare l’inferno, ed è stata un’altra lucida pazzia, quella dei potenti del mondo, a permettere che le fiamme di questo inferno si propagassero indisturbate, con l’ONU fermo nella sua magnificenza di palazzo di vetro e gli altri paesi che si preoccuparono solo di rimpatriare i propri connazionali.
E poi quella orrenda abitudine di chi fa informazione, di spegnere i riflettori una volta che la notizia non è più da prima pagina, anche con un presente che risente di un passato incancellabile. Quel popolo ha voluto conservare, per molto tempo, i segni del genocidio, non ripulendo i luoghi del massacro, ma lasciando lì, visibili anche dopo un anno, le montagne di cadaveri, lì in Rwanda, il paese dalle mille colline verdi, che nella sua lingua ricorda: imitima yarakomeretse (la malattia dei cuori feriti).
Ho visto un film in dvd qualche giorno fa, Hotel Rwanda di Terry George, e non era una storia inventata.

09 gennaio 2007

DOVERE

A volte la vita ti chiede di fare un piccolissimo viaggio in salita. Si tratta di un movimento breve, di un passo singolo. Arriva il momento in cui non ti è più consentito rinviare, sarebbe da vigliacchi prendersi dell’altro tempo. E guai al giorno in cui ti lascerai andare, indugiando fino all’eccesso, restando ferma, immobile, incapace di reagire, perché vorrà dire che avrai perso il controllo ed allora, sarà veramente dura recuperare.
È un viaggio del corpo, da intraprendere nuda, perché da nudi si è veri, non ci si può nascondere, non si può imbrogliare. Spogliati della pesantezza degli abiti, privi di ogni cosa, non si può addossare la colpa a degli oggetti, in un misero tentativo di trovare delle scuse. Solo un corpo nudo può darti la giusta misura di quello che è successo in questi giorni. Così lo fai, questo viaggio, sei pronta a partire, alzi la gamba destra prima, poi la sinistra, sei salita sulla bilancia, guardi i numeri e … questa settimana hai qualche appuntamento in più con il tuo stepper!

03 gennaio 2007

IO BLOGGO E GIOCO


Coinvolta da Deeario eccomi pronta a divulgare CINQUE COSE DI ME CHE NON SI SANNO e che, soprattutto, non fregano a nessuno!

1) All’Università ho sostenuto tutti gli esami scritti in gonna, perché mi appuntavo le formule sulle gambe. Inedito.

2) Questo Natale uno dei regali che ho fatto, era stato comprato per un’altra persona. Per la serie caaaaaambiooooooo! Lo sa mia sorella.

3) Ieri mia madre mi ha chiesto di passare a casa in città ad innaffiare le piante, dal momento che siamo tutti al paesello dalla vigilia. Bene, se mia madre avesse avuto un normale angolo verde non ci sarebbero stati problemi, ma poiché ha in casa una foresta, le ho innaffiate a campione, lasciando senza acqua quelle che non mi piacciono e di fronte ad esemplari che si ripetono, ne ho innaffiata una sola, giusto per la sopravvivenza della specie. Inedito.

4) Se un uomo mi dà la precedenza entrando in un locale, con me ha chiuso. Diffuso ma non abbastanza.

5) Questa la dico perché grazie ai meccanismi malefici di Google si arriva nel mio blog cercando “trombata 2007”! Il mio record è 9 volte in 3 giorni, perfettamente distribuiti, 3 per 3, con chi sono cavoli miei! Lo sa, per ovvi motivi, il lui incriminato.

Bigout, Bulgakov, Nullo, P.s.v. e SuperG siete stati nominati per continuare a farci, in perfetto spirito di cazzeggio da inizio anno, i casi degli altri.