Partire tornare ... ripartire ritornare ... in un continuo inarrestabile viaggiare

27 marzo 2008

DALL'ANALISTA

Sigmund Freud, viennese d’adozione, imparò ben presto che diversi comportamenti umani possono essere determinati da processi psichici che rimangono sconosciuti al soggetto stesso. Aveva cioè iniziato a delineare il concetto di “inconscio dinamico”, secondo cui la psiche nasconde in sé più livelli autonomi, indipendenti dalla volontà conscia.
L'Inconscio è la parte sommersa della psiche, sono i pensieri nascosti e le forze in esso contenute lottano e agiscono all'oscuro del pensato cosciente.
Il Preconscio è composto dai ricordi non completamente consci ma facilmente richiamabili alla coscienza superficiale.
Il Conscio è la parte superficiale della psiche, la coscienza chiara e distinta del contenuto della mente, l'ordinaria percezione dei pensieri.
Stabilito ciò, ricorriamo alla talking cure, la cura del parlare, del discorrere, ovvero, opportunamente rilassati e distesi comodamente su un divano, diamo libero sfogo al flusso dei nostri pensieri. Lasciamo che le parole scorrano per associazione di idee, senza alcuna logica che non sia spontanea. Cerchiamo di portare alla luce alcuni accadimenti della vita, così tentando di vincere l'azione di censura dei media, del dietologo e degli imperativi sociali che impongono un’alimentazione ipocalorica.

Sono stata in giro per la città. Sono rimasta ipnotizzata davanti vetrine ricolme di cioccolato. Dominata da una forza superiore. Sono entrata più volte al giorno nelle caffetterie viennesi. Senza orari. Senza attenzione al prezzario. Ho ordinato diverse fette di sacher. Ho leccato la forchettina da dolce. Avrei voluto usare le dita, ma credo che il Conscio, a questo punto, sia prevalso dirompente a privarmi del piacere.

17 marzo 2008

SUL FIACRE

Se una sera di febbraio senti il trotto dei cavalli sulla strada, non puoi sbagliare, sei a Vienna.
Carrozze sull’asfalto. I fiacre viennesi che si confondo con le auto, senza rappresentare per esse un ostacolo. Nel centro di Vienna comandano le carrozze, sono loro a scandire il tempo della circolazione, contemplativo quando trasportano passeggeri, frettoloso quando in massa tornano alle rimesse. Camminano i cavalli a Vienna, lambendo i marciapiedi, in perfetta sintonia con la gente. Odore di equini, tracce incontrovertibili, capaci di concorrere e superare, per dimensioni, i circa 65.000 cani che, amici fedeli, vivono in città.
In file spensierate. A Vienna le carrozze sottolineano, trottando, la memoria del tempo imperiale di questo spazio. Ti trasportano nelle pieghe del passato, che urla in silenzio coi suoi grandiosi palazzi, gli sfarzi ottocenteschi degli Asburgo. Ti portano nelle vie di Innere Stadt, ti fanno girare intorno al Ring, ti permettono di attraversare gli archi, di specchiarti nelle vetrine, di origliare la musica.
È successo di nuovo, di salire su una di quelle carrozze che riempiono i luoghi del mondo a fini turistici. È successo, ancora una volta, di capitolare di fronte all’invito insistente del conducente, di dismettere gli abiti del viaggiatore ed indossare l’uniforme del turista. Ma è successo, a Vienna, di non doverlo nascondere, di non dover espiare quel giro turistico in carrozza, perché sul fiacre sei totalmente dentro Vienna.
Era appena scesa la sera, una di quelle tiepide sere d’inverno. La mia vista diceva di toccare. Sarebbe giusto far tacere il cocchiere, tappargli la bocca ed impedirgli di elencare i nomi delle chiese, dei palazzi, delle fontane, dei monumenti disseminati sul percorso.
Tacere per godere Vienna.

10 marzo 2008

LINEE

Non sapevo bene cosa facesse, se me lo chiedevano rispondevo che papà disegnava. Dire che disegnava non era proprio una risposta vaga. Sul suo tavolo c’erano le matite, le gomme, le squadre. Lui faceva tante linee. Delle volte si capiva benissimo quello che aveva disegnato. Erano come le mie case, ma molto più dritte e soprattutto mai colorate. Disegnava su una carta trasparente che poi arrotolava, un tubo in cui ci si poteva guardare dentro, giocare a scrutare l’orizzonte e dividere il mondo in tanti cerchi.
Papà progettava le cose. Avevo aggiunto un tassello.
Avevo visto, avevo sentito, avevo analizzato il visto e il sentito e poi unito alle parole il proprio significato. Dovevo imparare a dirlo, se mi fossi esercitata avrei avuto la risposta esatta alla domanda della gente. Niente più informazioni generiche, ma la definizione precisa.
Ingegnere. Papà fa l’ingegnere. Un ingegnere è una persona che trasforma una cosa piatta come un disegno in un’altra, che può anche girare per farti vedere una città a scatti.
Un ingegnere è un papà che progetta aquiloni. Un ingegnere è un papà che intreccia ghirlande dividendo i fiori per dimensioni, come tanti altri papà, ma magari il mio una controllatina al raggio della ghirlanda perché tutto tornasse, l’ha sempre data.
Crescendo poi si sa, l’impegno da investire sulle parole aumenta. Oltre a pronunciarle bene, bisogna anche saperle scriverle.
L’ho imparato prestissimo, io, che ingegnere si scrive senza la i! Chiaro?

03 marzo 2008

GIRO

Inaspettata la partenza, dilatato il tempo del soggiorno, come quando viene data un’occasione da vivere il più possibile.
C’è un inizio preferenziale, una scorta in aeroporto, un percorso obbligato che salta gli ostacoli. Un sorriso divertito di fronte all’attenti cadenzato, una battuta che fulmina, un racconto ermetico che viene lasciato all’immaginario.
Perdersi per le vie. Trovare i luoghi per caso. Viaggiare lontano dalle folle ed imbattesi in flotte di gite scolastiche, che irrompono rumorose sulla scena, che diventano una costante da evitare, che osservi tornando con i ricordi ai banchi di scuola, che sono diverse dalla tua classe o è la tua classe che per te sarà sempre diversa ed irripetibile.
C’è l’imprevisto anche in un viaggio tranquillo, non lontano da casa.
Si sta bene in questo caldo febbraio. È una dichiarazione di pace. È un benvenuto col cuore.
Non c’è rottura, ma ci si sente lontani. Si ascolta la musica che domina sui palazzi, che entra nei caffé, che sussurra nelle strade, che disegna i gesti.
È un momento di questa mia vita in viaggio in cui l’anima può vibrare al ritmo di un valzer. E poi camminare. A cercare quello che non avevo immaginato, a trovare quello che non mi avevano raccontato, a guardare fuori degli schemi mentali che incasellano i luoghi, ad esplorare i miei sguardi.
Giro la ruota, vi di viaggio, compro una vocale, la i di inaspettato. Do la soluzione: Vienna.