Partire tornare ... ripartire ritornare ... in un continuo inarrestabile viaggiare

29 settembre 2008

GENTE

Il venditore di miele sulla strada. L’affittacamere dall’aspetto di un surfista in rottamazione. Il ristoratore tranquillo che non ha fretta di riempire il locale. L’automobilista per il quale la doppia striscia continua è nulla di più di un suggerimento. La fruttivendola che ispira genuinità. Il panettiere che ha disegnato i biscotti al sesamo. L’italiana dalle origini greche.
Gente spensierata, tra cui non riesci a sentirti straniero. La coppia in posa davanti casa, la loro conversazione gestuale, l’ospitalità di una succosa pera, l’omaggio profumato del basilico.
Gente strana. Il benzinaio che arrotonda in difetto il conto ed applica uno sconto di settanta centesimi, là dove in Italia sarebbero capaci di inseguirti per molto meno. Il barista che non avendo il resto a cinquanta euro, ti offre il caffè, là dove in Italia si cercherebbe, nell’intera città, qualcuno che ha da cambiare.
Gente felice, che confonde le taverne con le case. Odori misti a suoni. La musica popolare a sottolineare una visone della vita scandita da un ritmo lento, scaldata dal sole, scavata nel tempo.
Gente che canta per restringere lo spazio. Silenzio della natura per dilatare l’isola. Il sirtaki a fare compagnia, la voce del vento ad aumentare le distanze.
Allegria pura. Gente che vende i colori, tonalità racchiuse nei tappeti appesi al muro di casa mia. Pezzi di Creta venuti con me.

12 settembre 2008

CRETA

Era l’ultimo anno del liceo, l’anno degli esami di maturità e del viaggio premio nei luoghi mitologici. Con quell’idea chiara di cosa avrei fatto da grande, con quella voglia dentro di andare a vivere da sola. Avevo passato un sacco di tempo a studiare la storia vera o presunta della Grecia. Ne avevo imparato la lingua antica, l’avevo sfidata nelle interrogazioni, l’avevo amata, a tratti odiata per poi riamarla. Atene era una città confusa, caotica. Un tassista aveva dato prova di accelerate repentine, sgommando nel traffico. Nel sedile di dietro avevamo cominciato a danzare al ritmo di una guida convulsa, priva di regole, fino allo scatto finale che ci avrebbe indotti ad accendere una di quelle candele sottili che si trovano a mucchi nei monasteri ortodossi.
Mi era mancato il mare in quel viaggio. Sfiorato e desiderato.
Sono tornata. Con quell’idea cambiata di cosa avrei fatto da grande.
L’arrivo nell’isola di giorno. La virata sul mare ed un atterraggio a filo di roccia, che ha avuto un certo non so che di simile alla sensazione nel taxi. La roccia è il primo costante elemento che si presenta a chi decide di puntare ad est. Un rosso mescolato al marrone, al verde, all’azzurro, al giallo. L’isola del mare turchese, delle spiagge da conquistare, delle gole che tagliano la terra, dei paesini sperduti e disabitati, dei porti veneziani ricolmi di oggetti, dell’odore di aria pulita, del sapore di insalate, del suono chiaro delle cicale.
Un mondo infinito dove ritornare. Per poter cambiare idea su cosa fare da grandi.