Partire tornare ... ripartire ritornare ... in un continuo inarrestabile viaggiare

20 giugno 2008

CI SONO ANCH'IO

Sei nata di sera. Erano le ventidue e ventitre del 12 Giugno. Per tutto il pomeriggio abbiamo udito il tuo battito pulsare. Il tuo cuoricino che stava parlando, quella tremenda voglia di vivere e di venire al mondo. Io e il papà abbiamo seguito la mamma dietro una porta di vetro che si è subito chiusa alle nostre spalle. Noi da un lato, i nonni fuori. Noi ad aspettarti il più vicino possibile, attraversando furtivamente un corridoio dove non ci era consentito stare. Ma come potevano non violare le regole, tu stavi arrivando.
Hai pianto. Si è sentita la tua voce, sempre più distinta. C’eri.
Eccoti, un po’ spaesata, un po’ assonnata. Il tuo guardarti intorno, il tuo lasciarti confondere dalle voci sovrapposte di chi si è impegnato ad attribuirti somiglianze. Certo, perché la fronte non so di chi doveva essere, la bocca di persona diversa, il taglio degli occhi di un altro ancora. Dopo poco eri accanto alla mamma. Ti sei girata verso il suo viso, sicura e protetta.
Ora sei il centro del mondo.

03 giugno 2008

COLORE

Andavamo in campagna dalla strada asfaltata, su per delle scalette che si arrampicavano tra il boschetto di querce. A piedi, percorrendo poche centinaia di metri. Era lì, vicino, attaccata al paese ma con la sensazione, una volta persi nel verde, di essere lontani dal resto, senza nulla intorno.
L’altalena appesa all’albero, costruita con una tavola di legno ed una corda stretta al ramo più forte. Unica, solo per noi. Nessuno ne aveva una uguale, perché non esisteva al mondo un albero uguale. Non si era mai sazi di quel movimento, i turni tra di noi, l’aria a segnare il viso, l’odore persistente delle ginestre che inondava con prepotenza la campagna, fino a riempirla.
La casa, anni prima diroccata, era stata un fortino degli indiani nei giochi dei bambini del paese. Teatro di scontri tra opposte fazioni, campo di battaglia di diverse generazioni. Ora ne guardavamo la ricostruzione, io e i miei fratelli, seduti sull’altalena, con la carriola di cemento impastato, i mattoni che si componevano in muri. Stava tornando ad essere casa.
Le stanze al piano di sopra, in gran parte vuote, pronte a custodire ricordi. Al piano inferiore, invece, i ricordi c’erano tutti. I mobili dello zio lontano, tornato qui dopo una vita vissuta a Rimini. Le pareti piene di libri, l’odore di antico misto a polvere che trasudava dalle pagine ingiallite. Quella voglia smaniosa di urlare la storia di famiglia, di raccontarla, delle fotografie, delle lettere nei bauli, degli oggetti riposti nei cassetti.
I nostri alberi crescono ancora, in uno di quei posti dove il suolo accoglie i semi e la natura si ordina da sola. L’aria è pulita, l’odore di ginestre torna ogni anno. Lungo l’orizzonte lo sguardo che, nelle giornate limpide, si perde a scrutare le isole Tremiti.
Verde e rilassante campagna. Oggi quella casa ci aspetta di nuovo, aspetta che qualcuno torni ad occuparsi di lei. Arancione, l’abbiamo fatta arancione perché si veda per sempre.