PIOGGIA ROMANA
Roma, un martedì mattina in Via del Corso. Il cielo è coperto. Le prime gocce fanno timidamente capolino tra le nuvole. E tutti insieme, per nulla timidamente, sono apparsi i venditori ambulanti di ombrelli. Loro sì che la vogliono la pioggia un martedì mattina a Roma, con cielo coperto. Le gocce da due sono diventate quattro e poi otto, raddoppiando all’infinito il loro numero. Smetterà, che vuoi che facciano sessantaquattro gocce.
Ombrello? No. Ombrello? No.
Resisto, entro in un altro negozio, uno di quelli di estrazione spagnola che hanno invaso il mondo, dove puoi guardare, toccare, provare, comprare, cambiare, indisturbata. All’uscita le gocce sono ottomilacentonovantadue, e l’indiano, diverso ma uguale, è davanti a me.
Ombrello?
Me lo dici come fate voi ad essere pronti con gli ombrelli alle prime gocce dal cielo?
He he, leggere giornale. Che domanda cretina, deve aver pensato. Comprare ombrello?
No. Perché doveva averla vinta lui.
Non lo vedi che piove?
E mi sono beccata il secondo implicito insulto.
Quanto costa?
Cinque euro.
Cinque euro?! Troppo. Che fai non tratti? Che faccio, non tratto? Tratto. Sempre. Con la consapevolezza che il margine tra il suo primo prezzo e quello che pagherò è nullo. Le gocce sono ormai sedicimilatrecentottantaquattro.
Tu sei ricca.
Io? Ma se non ho un lavoro fisso.
È ricco tuo marito.
Non ce l’ho un marito, guarda la mia mano, non sono sposata.
Dai, compra ombrello, quale ti piace?
Il giallo. Voglio l’ombrello giallo, ci sto buttando sù cinque euro, su un ombrello la cui struttura prende per bora uno spiffero d’aria, almeno deve vedersi! Lo saluto.
Ciao e, trova marito.
Piove a Roma, un martedì mattina in Via del Corso. Mi ha convinta. A comprare un ombrello! Le gocce sono sessantacinquemilacinquecentotrentasei.